Vanno strani uomini
Magri polmoni della terra
peli d’erba unta
e in lontananza un colle
col suo palazzone
uguale per ogni città
e strade che hanno perso i nomi o ne prendono da nessuno come a Ponte di Nona o a Corviale “via Antonio Caltagirone industriale”
E affondano le geometrie
i parallelepipedi abitati
o caduti dal cielo
o verso l’alto soffiati
da nuovi venti atomici E vanno strani uomini e passano al silenzioso fiore scampato
su autobus di ritorno
uomini e donne sopravvissuti
E fondano una nuova stirpe
in questo grembo-millennio sfatto
in questo mattino-cammino ignaro
nello strano calore-ghiaccio
nello strano maggio glaciale
strano sangue-delirio vetro-metallo da Laurentino al Corviale
E gettano muti e soli qualche seme nella terra dei palazzoni della strana città
che non è più nemmeno antica
nel deserto impudico delle sacre gru-croci
che cambiano assetto nel nostro Corpo
e fanno apolide la nazione e chimica l’erba che non è più bella
e di cemento sacro la religione
Vanno sotto bianche nuvole feroci
strani uomini in vecchi embrioni di città italiche e ignote uova di palazzoni
sotto gli attuali cieli cesio-benzene Uomini manuali e informatici per città sconosciute come le nuove piogge
in scrosci violenti dall΄ozono-voragine sulle finestre aperte per reduce gioia di vivere da Hiroshima a Fukushima tra tsunami stampati come monete nell’alluvione E questi uomini incontrano, magari in un giorno di domenica, come fosse ancora il giorno di qualche Dio, il vivace e giallo sole della “nazione” marchio sulla pelle in piccole macchie sul viso che è sempre più strano dopo il buio infrasettimanale della vita normale E in massa si consolano nella domenica di sole consolatorio da ogni brutta piega della vita nazionale su cui ancora in cielo azzurro stampato è il sole e sulla scuola distrutta e sul misero lavoro e su ogni fabbrica d’uomini morti in questa televisione o in questo nostro mare.