KATPATUKA – videoreportage
Da un mio viaggio in Turchia, avente per apogeo la Cappadocia, nasce questo video dal titolo antico. In realtà questo video è alquanto moderno, pienamente dell’anno 2012, considerato che non tratta solo la natura e la storia meravigliose che in questi luoghi si sono depositate formando nei millenni un’immensa opera d’arte, ma tratta più che altro il turismo di massa nella sua verità, ovvero nel suo consumismo vorace, cieco e orrendo. Il filmato, realizzato con una semplicissima videocamera quasi da tasca, è molto più lungo, ampio e articolato di quanto lo sia questo video, che soggiace a una scelta drastica: ridurre in minuti e in scene per essere immediatamente più fruibile. La maggiore lunghezza e la maggiore difficoltà implicano sempre da parte dei fruitori una maggiore disponibilità di tempo e impegno (volontà, pazienza, concentrazione, etc.) e sono questi i motivi che mi hanno dissuaso dall’idea di un grande reportage-film, spingendomi a contrarre, ridurre, tagliare. – Un giorno dell’anno 2012 il direttore di produzione del teatro Vascello di Roma Enzo Toto, che aveva letto in pochi giorni quattro mie opere teatrali (Furie, Mefistofele 2000, Dialogo con un clown e Medea Oggi) mi parlò del problema della concentrazione del pubblico e cioè del fatto che i teatri non mettevano più in scena opere della durata di due ore. E’ dunque ripensando a quella sua affermazione nel foyer di via Giacinto Carini 78 che oggi mi/vi chiedo: ho fatto bene o ho sbagliato in questo autolesionismo che possiamo chiamare “compromesso dell’autore con il destinatario”? Probabilmente anche il teatro Vascello aveva fatto una scelta di compromesso, o forse voleva segnalarmi indirettamente che il mio copione era troppo lungo, sebbene così non sembrava. Il signor Toto mi presentò addirittura come una giovane promessa della drammaturgia e mi lasciò dicendo che era interessato a produrre la mia Medea Oggi con la scuola del teatro. Non ricordo neanche più bene le parole dette, le quali si impastano alle tante altre che le mie orecchie hanno udito o letto in questi ultimi vent’anni (vedasi la mia corrispondenza con le case editrici) formando ormai una cacofonia sporca e sempre più irreale, proprio come questa Italia al potere. Parliamo di potere, sì, perché i teatri e le case e ditrici sono un vero e proprio potere del Paese, non meno importante della magistratura. E questo potere agisce sia su di noi scrittori sia su di noi destinatari della scrittura. Chiacchiere senza reali intenzioni, solo per apparire sensibili alla novità e buoni con i nuovi autori, o anche per apparire potenti, sono piuttosto solite nell’ambiente della cultura. Le bocche delle nostre decisionali figure culturali sono spesso coperte di queste afte croniche, e l’inerzia, l’accidia, la viltà e il conservatorismo sono un pus che pervade il campo artistico non meno di quello politico. Ma rispetto all’estero le nostre condizioni culturali sono particolarmente gravi, dato che anche i teatri sono finiti a spacciare roba riciclata dalla televisione, oppure riciclano se stessi, il solito repertorio. Qui gli autori morti sono più vivi dei vivi (vedi le continue riproposizioni di Goldoni, Molière, Beckett, Ionesco, Gogol, Shakespeare, etc.) mentre gli autori vivi ricevono i complimenti più sinceri per restare nell’ombra, come i veri morti. Ma tornando a Katpatuka. Da una parte sicuramente ho sbagliato, nonché, in qualche misura, ho tradito me stesso, come del resto chiunque fa una scelta di compromesso; ma da un’altra parte il risultato (come direbbe un produttore-editore scaltro) è forse più consono alle esigenze del destinatario di oggi, se posso dire così senza offendervi. Sì perché il destinatario siete voi che ho avuto nel mio cuore, che dunque ho tradito come ho tradito me stesso. Ad essere stati umiliati da questa versione ridotta siate anche voi dunque, sebbene, appena fatta questa versione, mi sia subito ripromesso di realizzare quanto prima quella che avrei voluto in origine e che ovviamente non ho mai realizzato. Rinunciando all’idea iniziale tante cose che avevo ritagliato mancano in questo video. Mancano quelle immagini pure in lunghe inquadrature, quegli spezzoni esteticamente rozzi ma carichi del mio stupore; e quel silenzio dei luoghi oltre l’immagine; e il silenzio delle montagne e dei villaggi come Gore; e il suono erompente dei minareti, che forse varrebbe di più come puro frammento d’audio, puro suono, isolato dall’immagine. E avrei anche cercato di rispettare meglio la miseria del vecchio centro abbandonato di Nevşehir, la grazia delle persone intervistate, la mia solitudine. Ma i compromessi nell’arte sono come i compromessi nella vita: una perdita che non possiamo mai quantificare.
Katpatuka english version (translated and interpreted by A-I. Ardeleanu) :